Vai al contenuto

Piero E Francesco


Messaggi consigliati

Piero e francesco

 

Questa storia parla di due uomini.

Entrambi hanno compiuto, a modo loro, alcune imprese, fino al giorno in cui sono rimasti coinvolti in un evento che li avrebbe per sempre ed indelebilmente proiettati nel tempo.

Non voglio dire “uno era bravo, l’altro no”, le considerazioni sono talmente ovvie che non servono. Però, boh, mi andava un po di parlarne.

Se per uno infatti si parla di fatti accaduti pochi anni fa, ancora ben impressi nella memoria collettiva, l’altro… beh, l’altro è morto nel 1971, i fatti di cui parlerò risalgono agli anni 50, ne è passata da allora di acqua sotto i ponti.

Acqua.

L’elemento principe, in questo racconto.

La storia, cronologicamente mi sembra giusto, inizia nel 1956. L’anno che molti ricordano per la famosa gelata a Roma.

Ma era il 26 Luglio, non faceva freddo, non c’era il gelo. Sarebbe sceso dopo, ma a questo punto della storia, i protagonisti non avevano motivo per non essere euforici. Erano in crociera, stavano festeggiando, alcuni in viaggio di nozze, atri in semplice vacanza. Nel 56 l’Italia era in ripresa, c’era tanta voglia di divertirsi. Quello di prendere un biglietto per un transatlantico ed andare a New York era uno dei modi più belli, e visto che gli aerei ancora non si erano affermati del tutto, uno dei preferiti.

Ore 20.30.

Cinquantasei anni dopo, giorno più, giorno meno, e grosso modo alla stessa ora, c’erano altre persone che –al pari delle prime- stavano godendosi le vacanze.

Avevano cenato, qualcuno era nei saloni da ballo, i bambini giocavano nelle aree preposte, tutto era molto simile a quanto vivevano i protagonisti di 56 anni prima.

Ore 20.30

Le due storie si svolgono a bordo di due navi meravigliose. Una in particolare, la “Andrea Doria”, era considerata l’orgoglio della marineria Italiana, dopo l’affondamento del “REX” era rimasta la nave italaiana più lussuosa e magnificente, per fare la tratta Atlantica.

Qualche ora più tardi, su entrambe le navi iniziano a suonare gli allarmi collisione.

 

La Andrea Doria, infatti, era stata speronata da un mercantile, lo “stockolm”, sulla cui plancia al momento della collisione c’era il terzo ufficiale, un ragazzo fresco di gradi; al timone della Andrea Doria c’era Piero Calamai, il primo dei due uomini che hanno dato il titolo alla storia.

La Costa Concordia, invece, aveva urtato uno scoglio. Ah come il Titanic … no, il Titanic aveva preso un Iceberg in movimento, lo scoglio stava li da parecchio prima…!

In plancia, al momento dell’impatto c’eraaaaa….. beh, sulla questione del Concordia stanno ancora lavorando gli avvocati, diciamo pure che c’era troppa gente. E basta. Tanto la storia non è su chi guidava o come guidava.

Dopo l’impatto, le due navi si inclinano su un fianco. Lo Stockolm, infatti, aveva speronato la Doria in movimento causandole un lungo squarcio da cui è entrata una grande quantità d’acqua, che ha fatto inclinare la nave. La concordia aveva colpito lo scoglio in movimento con lo stesso risultato.  Acqua, acqua da tutte le parti.

La concordia, più fortunata, si appoggiò sugli scogli sottostanti, permettendo operazioni di soccorso più “rilassate”, la doria, in mare aperto, dovette far affidamento sulle scialuppe di salvataggio che non potevano però essere ammainate al competo, vista l’inclinazione della nave; servirono anche quelle dello Stockolm, e di altri mezzi di soccorso sopraggiunti prontamente.

Fin qui, comunque, le due storie si somigliano abbastanza, a volerle far somigliare.

E’ dopo che accadono cose diverse. E’ dopo, nei minuti successivi all’impatto, che le due storie prendono pieghe diverse.

E che l’orgoglio di essere Italiani viene dapprima esaltato, e poi messo a dura prova.

Mentre il comandante calamai faceva la stima dei danni, chiamava a rapporto gli ufficiali per capire se la nave si potesse salvare, e discuteva con l’ingegnere di bordo su cosa l’allagamento dei compartimenti potesse significare, il comandante Francesco Schettino (l’altro nome del titolo) raccoglieva le sue cose dalla plancia, avendo già deciso che il sodalizio tra lui e la Concordia finiva li.

Pochi minuti dopo Calamai, resosi conto che la nave era perduta, ma che i soccorsi erano attivi e ben coordinati, decideva di non dare l’ ABBANDONO NAVE per evitare che il panico peggiorasse la situazione.

Mentre Calamai a bordo della Doria comunicava con gli ufficiali dei vari comparti, per accertarsi dello svolgimento delle operazioni di sbarco nelle scialuppe, un ufficiale gli riportò una sommaria stima delle vittime. Una cinquantina di persone, quelle che dormivano nelle cabine colpite dallo stockolm.  (una bambina venne ritrovata quasi illesa nella prua dello stockolm, quando le due navi si staccarono, la sorellina invece morì colpita dalla prua nella nave Norvegese)

Quasi contemporaneamente il comandante Schettino, da una scialuppa a pochi metri da terra, comunicava telefonicamente con la Capitaneria di Porto, alla quale non sapeva dare alcun dato su quanto accaduto (anzi, chiedeva se c’erano vittime…)

Poche ore più tardi gli sbarchi finirono per entrambe le navi.

La Concordia, ormai adagiata sugli scogli, vedeva i propri passeggeri scivolare lungo la fiancata nelle scialuppe, che di li a poco li avrebbero trasbordati a terra. Sembra che il comandante Schettino, quando l’ultimo passeggero lasciò la nave, fosse già a terra, con abiti asciutti.

La Doria, con ancora le luci di emergenza accese, grazie ai marinai che fecero il possibile per mantenere l’energia elettrica, vide l’ultimo passeggero civile scendere con le proprie gambe.

Il comandante Calamai, saputo che c’erano state diverse vittime (5 anche sullo Stockolm), si congedò dai propri ufficiali, dicendo loro, “ io resto al mio posto, al comando della mia nave”.

Scese soltanto quando tre dei suoi marinai gli risposero “Comandante, se resta lei restiamo anche noi”.

 

La storia, ignobilmente sintetizzata, potrebbe durare un eternità, dibattendo sul comportamento delle persone, sugli errori, ecc.ecc., ma non era questa la sua intenzione.

Nelle mie idee c’era soltanto un forte rammarico per aver constatato con altri amici, che un coglione viene e verrà ricordato nel tempo, ed un eroe invece non è spesso nemmeno conosciuto.

 

Ad alcuni  affondare con la propria nave può sembrare un idiozia, una cosa d’altri tempi.

Ma anche senza essere stato in Marina (cavalleria, matti uguale!) so cosa significa avere il comando di una nave del genere, la responsabilità di 1500 persone,  sapere che seppur incolpevolmente si è stati responsabili della morte di alcune di queste, e la decisione di Calamai a mio avviso, non fu idiota, ma coraggiosa, orgogliosa, e nobile. Scuramente d'altri tempi.

Link al commento
Condividi su altri siti

×
×
  • Crea nuovo...